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- LA LUNGA SOSTA
La prossima sfida in programma sarà il 6 gennaio 2011 quando i viola saranno impegnati a Bologna contro la squadra di Malesani

lunedì 7 settembre 2009

PRANDELLI A 360°

Pubblichiamo la bella intervista fatta dal Corriere Fiorentino a mister Cesare Prandelli. Bentornato tra gli allenatori. Eh sì, perché do po aver coperto nella Fiorentina anche i ruoli di comunicatore e uomo immagine, facendo intra­vedere qualità manageriali e un futuro alla Fergu son (con la pretesa pure di decidere il merca to...), Cesare Prandelli torna a fare solo il suo me stiere. Quello dell’allenatore, appunto. Cioè di chi proverà a tirar fuori il meglio «dalla rosa che mi hanno messo a disposizione» che «da azienda lista », «in una fase di crisi generale» ha accettato e che «è una mezza impresa allenare tra un cam po e l’altro». Demotivato? No. Ci crede ancora Ce sare, lui il sogno di vincere a Firenze, di lottare qui per lo scudetto, lo coltiva sempre, e «non ci sarà giorno in cui ogni singolo minuto del mio impegno nella Fiorentina non sarà dedicato a raf forzarlo, quel sogno». Ma non chiedetegli, alme no quest’anno, di fare anche da garante.
In Prandelli si è verificata una significativa mu tazione che pure, è giusto ripeterlo, non intacca motivazioni, impegno e professio nalità. Da colui che metteva la fac cia su Progetto e ambizioni, a colui che lavora con quello che ha.
«É un anno così, di transizio ne », dice Prandelli. Non tanto per quanto riguarda gli obiettivi sta gionali, che «la Fiorentina proverà comunque a confermarsi o a mi gliorarsi », anche se «bisogna esse re realisti...». Perché un allenatore può dare un valore aggiunto, ma per dirla alla Corvino, la lana è lana e la seta è seta. La transi zione è un’altra. E riguarda il Progetto, a un bi vio. Da una parte c’è la P maiuscola e dall’altra la p minuscola. Prendere una o l’altra strada segne rà il futuro della Fiorentina. E il suo futuro a Fi renze: «Non escludo nulla» chiuderà così l’inter vista Cesare, senza polemica, ma senza nascon dersi. La Cittadella ammette «è crocevia di tut to », ma pesa molto, moltissimo, anche l’assenza di un centro sportivo che, lo dice e lo ripete, «re gala non solo quei sette-otto punti all’anno ma, in generale, solidità, credibilità, spirito di corpo. Consente di lavorare, dare e tramandare i giusti esempi». Non esiste allenatore serio, con a cuore le sorti del club, che tra un campione e le strutture scelga il pri­mo invece delle secon de. Prandelli è stanco di tante, troppe difficoltà quotidiane, inesistenti in tante realtà ben più limita te di Firenze. E allora questo «anno di transizione» può an che essere definito «l’anno della gratitudine». Quella che sente per la società, la città e la gente e che lo ha con vinto ad accettare tutto, senza pretendere, nell’at tesa di sapere cosa accadrà. Ma la gratitudine non è eterna.

Lo scorso anno di questi tempi regnava l’entusiasmo. Oggi, nonostante la Cham pions raggiunta, si respira malumore e in quietudine. Lei comprende, condivide o si stupisce?
«Io dico che bisogna capire che siamo in una fase di crisi economica generale in cui la società ha fatto delle scelte. In primis quella dell’autofi­nanziamento. Non chiedetemi di entrare nei con ti, non spetta a me stabilire il monte ingaggi o quanto deve costare e guadagnare x o y. Sono al tri i referenti per queste cose. Io da aziendalista, riconoscente a questo club, ho accettato la politi ca societaria e con essa tutte le conseguenze».
A partire dal mercato... Corvino l’ha tira ta dentro: «Cesare era d’accordo».
«Il mercato è lungo, parte in un modo, può fi nire in un altro. Ci sono prime scelte, seconde e terze. A volte ci sono alternative, a volte è prende re o lasciare. Dipende...»

Si parte con Crespo e si finisce con Ca stillo?
«Crespo è stata un’opportunità iniziale, l’in gaggio non rientrava nei parametri e io questo devo rispettarlo. Ci siamo spostati su altri ruoli, quando siamo tornati sull’attacco le disponibili tà si erano ulteriormente ridotte. Ma Castillo me rita rispetto, si è presentato nel modo giusto e ci darà una mano».
Da garante del Progetto ad aziendalista ...
«Il Progetto esiste, ma vive una fase di transi zione, bisognerà vedere cosa accade in altre se di. Essere aziendalista non è una ‘‘diminutio’’ a livello di impegno, anzi ti spinge a fare ancora di più. Raddoppi le forze per migliorare quello che hai a disposizione, per cercare novità nel gioco, ridare stimoli, mettere sul tavolo tutte le tue conoscenze, ampliandole, lavorando con lo staff in maniera ancora più attenta, con serietà, concentrazione, dedizione, senza per questo perdere la se renità e anche il sorriso nella gestione dei rapporti».
Come si riaccende l’entu siasmo nei tifosi?
«Attraverso il gioco, con una continuità di prestazioni che ab binino solidità e spettacolo e mostrino una manovra corale, piacevole e offensiva. Siamo sulla buona strada, l’aggressivi tà, l’intensità, i ritmi, l’atteggia mento e molti movimenti che ho visto nel primo tempo col Palermo mi fanno ben sperare. Il gruppo c’è, lavora. Ci crede, vuole crescere. E non dimentichiamo che il pri mo traguardo l’abbiamo già raggiunto con l’ac cesso in Champions. Non siamo stati brillantissi mi, è vero, ma non era facile esserlo: il mercato aperto, le distrazioni, l’impegno da ‘‘dentro o fuo ri’’ quando ancora la stagione deve cominciare. Sale la tensione, senti la responsabilità. Era im­portantissimo raggiungere il risultato, ce l’abbia mo fatta».
E nell’attesa che l’entusiasmo torni, i Del la Valle sono amareggiati. Così li ha visti Corvino ...
«É una sensazione che ho percepito anch’io. Soprattutto in Andrea, che ci è stato molto vicino nell’ultimo mese. Spero sia solo un mo mento, che possa servire come ‘‘provocazione’’. Ma la loro ama rezza la avverto anch’io».
I conti almeno sono dolci. Da gennaio ad oggi sono en trati 55 milioni e ne sono usciti meno di 20. Senza con tare gli introiti Champions. Se non si può investire sugli uomini, si potrebbe farlo sulle strutture.
«Da quattro anni ripeto che ci manca un centro sportivo. Una casa dove vivere insieme, preparare al meglio le partite e la stagione. Una struttura all’altezza ti dà 7-8 punti in più a cam pionato. Noi invece lavoriamo in condizioni dif ficilissime. Siamo sballottati a destra e a manca. Gli spogliatoi da una parte, la palestra da un’al tra, la sala massaggi-fisioterapia da un’altra an cora. Per arrivare in sala stampa devi attraversa re lo stadio. Andiamo a correre su un campo, fac ciamo allenamento tattico su un altro. Mangiare insieme è un’impresa. La sede e gli uffici sono a parte. Un club dovrebbe essere una famiglia, in vece molti giocatori non conoscono neanche i dipendenti della Fiorentina perché viviamo in realtà separate. Il Franchi è un ‘‘porto di mare’’, io stesso a vol te incrocio volti nei corridoi e mi chiedo se siano della socie tà o no... Non è così che si crea la coesione e il senso di appar tenenza » .
Tra big e giovanili, pochi contatti?
«Ho lavorato anni nell’Ata lanta, strutture tutte concentra te, tecnici che possono confron tarsi e giovani che imparano dai grandi. Non sempre basta il talento, i comportamenti sono importanti. Un club è fatto di tradizione, di valori che si respi rano e che passano anche attraverso i muri. Pen sate per un ragazzino avere il privilegio di ‘‘cre scere’’ accanto a uno come Jorgensen con la sua professionalità, educazione, puntualità, attenzio ne ai comportamenti. Mi basterebbe dirgli: vedi lui? Ecco impara, l’esempio da seguire ce l’hai da vanti, in carne ed ossa».
Incisa è stata un’occasione perduta. Lei ci sarebbe andato?
«Il problema non è il posto, sono le strutture dove lavorare. Serve una casa per la Fiorentina, se era a Incisa andavamo a Incisa».
Dal Franchi ai Campini: l’erba questa sco nosciuta ...
«Quando ero ancora in ritiro, ogni tre giorni telefonavo per avere notizie sul campo. ‘‘Stai tranquillo...’’, mi rispondevano. Tranquillo ’na sega . Guardate come è messo il Franchi! (Con fermiamo, siamo scesi sul terre no di gioco, tanta terra, poca er ba, molte buche, ndr). E i Cam pini? Ancora peggio. Quando siamo tornati c’erano delle bu che grandi così. Aspetto che vengano sistemati, per ora dob biamo accontentarci di trenta metri scarsi di spazio dove lavo rare. Le sembra possibile?».
Però anche voi... Ma non se ne era accor to nessuno tra i dipendenti prima che lei tor nasse?
«La Fiorentina paga un affitto per avere dei campi all’altezza, ma se non lo sono sarebbe me glio muoversi per tempo. Bastava anche buttarci un occhio distratto per vedere in che condizioni pietose erano i terreni di gioco».
Dai Campini ai campioncini. É Jovetic il miglior acquisto della Fiorentina?
«Savicevic sostiene che tra 2-3 anni sarà un grande. E io sono d’accordo. Nel frattempo deve continuare a crescere e migliorare senza troppe responsabilità. A Bologna dopo un tempo era sta to massacrato. Ora dite che è indispensabile. Io l’ho fatto giocare tanto lo scorso anno. E que­st’anno giocherà ancora di più. Dall’inizio o a par tita in corso, in base alle esigenze. Sta capendo come si gioca con la palla e senza, in fase di pos­sesso e non possesso, per mettere il suo talento e la sua fantasia al servizio della squadra, senza che questa perda gli equilibri».
L’equilibrio rischia di perderlo Mutu con quella multa sulla testa. É tornato con i Be cali e ricominciano le voci di mercato. É pre occupato?
«Mutu sta vivendo una situazione difficile, ma al momento deve recuperare innanzitutto la con dizione fisica. Il resto verrà naturale. Però la sere nità è importante».
Zanetti ha detto che bisogna puntare a vincere tutto.
«Cristiano è un giocatore di esperienza, ha vis suto in grandi realtà, capisce i momenti e sa cosa serve per creare spirito di gruppo».
Con Montolivo in campo però l’affiata mento ancora non c’è.
«Poco complementari? La penso in maniera opposta. I giocatori di qualità possono sempre giocare insieme. Due anni fa ho proposto un cen trocampo a tre Kuz-Liverani-Montolivo, tutti a dire che mancava l’incontrista e invece abbiamo giocato il nostro calcio migliore».
Montolivo dovrebbe avere delle motivazio ni «mondiali»...
«Dobbiamo averle tutti, sempre e indipenden temente dal Sudafrica. Ma certo la voglia di an darci può aiutare lui ed altri candidati. A Riccar do io non chiedo la giocata, ma la continuità di gioco. Non voglio un assist vincente, ma 80 pas saggi fatti nel modo giusto».
«Ciao ragazzi, ciao»: alla lista si è aggiun to Kuz.
«E mi è dispiaciuto molto. Negli ultimi due an ni è stato tra quelli che avevo fatto giocare di più, nonostante avesse 20 anni. Perché stavamo inve­stendo su di lui. Ma Kuz è uno che, se messo in discussione, perde subito tranquillità e motiva zioni, e ha chiesto di essere ceduto. L’amarezza per lui si unisce a quella per altri giovani che han no preferito andar via piuttosto che mettersi in competizione dimostrando all’allenatore di meri tare una maglia».
Perché non lo avete sostituito?
«Non si compra un grande centrocampista in 24 ore. Meglio dar fiducia a chi è già qui. Jorgen sen e Santana possono giocare anche al centro».
La Fiorentina in campo sembra ancora un pò scolastica: baricentro basso, niente fuori gioco, poche sovrapposizioni bassi, la mano vra non convince ancora.
«Andiamo con ordine: il fuorigioco per me è una conseguenza di una pressione sull’avversa rio, il tentativo di rubar palla alti. Senza aggres sività è un suicidio farlo, come ci accadde lo scorso anno al Franchi col Lecce. Riguardo gli esterni, sia alti che bassi, dobbiamo migliorare le triangolazioni per trovare la profondità. Sul gioco in generale, per prima cosa dobbiamo es sere propositivi, sempre. Ci sono due modi per cercare di arrivare al gol. Se hai una base tecni ca straordinaria lo puoi fare attraverso il domi nio della palla. Ma nel calcio attuale per non far riorganizzare gli avversari non devi tenerla troppo, ma arrivare in area in pochi secondi. Noi cerchiamo questa strategia».
Con l’addio di Spalletti è diventato il tecni co con maggiore anzianità sulla stessa pan china: 5 anni.
«In una classifica allora sono primo... Mi spia ce per Luciano, in questi anni ha avuto intuizioni straordinarie. Inventando una fase offensiva sen za punti di riferimento, ha espresso per due-tre anni il miglior calcio in Europa, soprattutto se rapportato al materiale a disposizione».
Le difficoltà di Milan e Roma fanno riflet tere. Bastava davvero poco alla Fiorentina sul mercato per diventare la terza forza del campionato.
«Lo penso anch’io, bastava poco...»
E invece?
«E invece non lo siamo e ce la giochiamo con il Milan, le romane, le genovesi, il Napoli, il Paler mo. La forbice va dal terzo all’ottavo posto. Mol to dipenderà dagli impegni europei».
Grazie per l’assist. Il girone Champions vi presenta una rivincita e una sfida affasci nante.
«Cominciamo col dire che il Lione, nonostan te qualcuno sostenga il contrario, non si è indebolito ma rinforzato. Quando hai due uomini di spicco come Benzema e Juninho la squa dra spesso si impigrisce affidan dosi solo a loro. Cedendoli e ac quistando bene, hanno ridistribui to le responsabilità, tenendo alta la qualità».
E il Liverpool?
«La parola Liverpool mi riporta alla mente la tragedia dell’Heysel, sono passati 25 anni e resta tutto nitido come allora. Non sapevamo dei morti, ce lo dissero dopo. Boniperti non voleva far giocare la squadra, fummo costretti. Così come ci chiese ro di andare sotto la curva. Ma nessuno di noi prese un euro per quella coppa, tutti i premi furo no devoluti in beneficienza».
Dall’Heysel ad Anfield...
«Io c’ho giocato e so cosa vuol dire. Un am biente straordinario, l’inno, l’impatto. Ci devi ar rivare da squadra unita, compatta, senza paura. Devi poter pensare ‘‘non siamo vittime predesti nate’’, ci siamo anche noi. Per farlo devi scendere in campo ricco di conoscenze, di convinzione, di attenzione. E per ottenerle devi lavorare, impe gnarti, provare e riprovare in allenamento».
E torniamo alle strutture, al Progetto. Ce sare, la Cittadella è lo spartiacque?
«Sì è inutile negarlo. Con la Cittadella ci sareb bero entrate importanti, si potrebbero riprende re certi programmi, ripensare in grande».
É uno spartiacque anche per la tua perma nenza?
«Non voglio escludere nulla. Io ho fatto la scel ta di rimanere a Firenze perché convinto che que sto sia un progetto vincente in un paio d’anni, ma se dovessero cambiare gli scenari si imporrà una attenta riflessione. Poi uno può inseguire al tre ambizioni o rimanere ugualmente per amore verso una città che mi è stata vicina in momenti difficili della mia vita. Nulla è eterno, prima o poi finirà anche il rapporto professionale con la Fio rentina. Ma a questa città e a questa gente io sarò sempre riconoscente».
Il giorno che dovesse andar via preferireb be: un grandissimo club italiano, la naziona le o un’esperienza all’estero?
«Un’esperienza fuori. Tutti i colleghi che l’han no provata mi hanno raccontato di essere tornati arricchiti umanamente e che la qualità della vita è migliore. Un giorno vorrei provare, per vedere se è vero...».

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